sabato 30 marzo 2013

Di gastronomia, crisi e infanzia (la mia)


Tornare a casa è come entrare nel proprio museo personale dei ricordi.

Da quando sono nata la casa dei miei genitori è sempre stata la stessa ed è solo qui che ho la sensazione di essere circondata da oggetti che mi hanno vista crescere: mobili, divani, soprammobili, cactus, fotografie e libri di ricette.
Poi ci sono degli oggetti effimeri, quelli che arrivano e se ne vanno, simboli dei ritmi delle stagioni che passano e che riempiono la dispensa: i cesti di Natale e le colombe di Pasqua.
Simboli, tra gli altri, dell'Italia ruggente e di una economia che procedeva spedita, sono stati il mio benchmark gastronomico per anni, un modo veloce per capire come andavano le cose in casa. 

Quando ero piccola, fino a metà degli anni '90, aspettavo con ansia l'urlo di mio papà dalla cantina: "Silviaaaa, ci sono i cesti, vieni ad aiutarmiiii". I cesti erano tanti e affollavano il baule della macchina, io in realtà aiutavo ben poco, più che altro mi divertivo a correre da mia mamma gridandole quanti panettoni, barattoli di mostarde, tranci di salmone ci avevano regalato. Erano gli anni in cui il lavoro non mancava e per me tutto si rifletteva nella quantità di cesti e colombe ricevute in regalo durante le festività. Una sorta di cartina di tornasole che mi faceva capire facilmente che tutto andava bene. Basilarmente: da mangiare ce n'era.
Alla fine degli anni '90 la quantità di cesti cominciava a calare così come la quantità di prodotti al loro interno. Meno bottiglie di vino, panettoni più economici, più frutta fresca e meno panforte. Ero alle medie, mia mamma cominciò a non regalare più i cesti in avanzo e io ebbi la sensazione che le cose non andassero più bene come una volta. 
Cambio di millennio, cambio di moneta, cambio di cesti. Pochissimi e scarni, fino al 2005 quando non ne arrivò più neanche uno. Tre anni prima dell'inizio della crisi ufficiale, l'anno della mia maturità, la sensazione che le cose non andassero per niente bene me la ero già fatta analizzando la mia materia preferita: il cibo.
Alla scelta della facoltà a cui iscrivermi non ebbi dubbi e scelsi ancora qualcosa che aveva a che fare con il food: lui e sempre lui che già da bambina analizzavo con tanta curiosità.


I dati 2013 sono chiari: quest'anno a Pasqua in pochissimi andranno al ristorante. A parte essere da sempre convinta che le feste vadano festeggiate in casa per svariati motivi, la notizia mi ha comunque fatto pensare. Nella mia infanzia la presenza del ristorante era una costante settimanale. 
Il venerdì mio papà tornava stanco da una settimana di lavoro e voleva andare a mangiare qualcosa di buono con noi e i suoi amici. Il ristorante era sempre lo stesso, la compagnia pure, io avevo la possibilità di ordinare quello che volevo purchè lo finissi e stessi buona a tavola. Non ero una mangiona ma mi piaceva imparare e curiosare ed in quelle sere feci conoscenza con gli agnolotti del plin, con il Castelmagno,  con la tartare, con il Culatello con molto altro che ora non mi ricordo più. 
Le basi erano gettate, la cultura gastronomica di questo paese era servita e fatta (giustamente) imparare anche ai più piccoli. 
La frequenza delle cene al ristorante riflesse perfettamente quella dei cesti di Natale. A fine anni '90  le cene cominciarono a calare sostituite da più economiche serata a casa con gli amici per poi, a metà del nuovo millennio diventare sempre più rare fino a scomparire negli ultimi anni, quando ci si rivede solo per compleanni e avvenimenti importanti.

Ricordi, riflessioni, piccole cose che danno l'idea di quanto quelle grandi siano cambiate. Scorci di un passato che mi chiedo se mai tornerà e se potrò farlo rivivere ai miei figli.

Per il momento una buona Pasqua a tutti e God save Italy:-)


         

  

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