venerdì 11 maggio 2012

Scoperte, dubbi e qualche conferma



All around the food ha la brutta abitudine di sparire dagli schermi una volta all'anno. 
Si perde via tra gli esami, l'orario delle lezioni, l'organizzazione di eventi vari (il Salone del Gusto è già in sovraimpressione per noi dell'Unisg), le vacanze e per finire pure i sensi di colpa, un disastro insomma. Del resto chi lo gestisce pecca spesso di poca perseveranza e metodicità verso quello che non è tassativamente obbligatorio fare, alternando però anche momenti di massima diligenza, il risultato è che ho nei confronti del blog una sorta di amore-odio perenne: adoro quello che ci porta in termini di conoscenze e opportunità, lo odio quando fa da specchio ai miei difetti. Forse è giusto così, un modo per prendere meglio coscienza di chi si è e in cosa si deve migliorare. Chiusa la parentesi di autocritica serrata (doverosa), veniamo a come si è impegnato il tempo in questi due mesi.

Nell'ordine c'è stato un lungo periodo molisano -con finalmente sosta al caseificio Di Nucci- ed un piccolo week end napoletano, per il resto esami, un Career Day e vita braidese molto tranquilla.

Il Molise in primavera ovvero l'Irlanda ad agosto. Colline verdi piene di fiori, aria frizzantina tutto il giorno, una natura nel suo pieno splendore che ti incanta per colori odori e rumori. 
Sembra tutta un parco naturale questa piccola regione troppo spesso dimenticata dall'Italia romano e milano-centrica. 
Nel mezzo dell'Italia appenninica c'è un territorio che potrebbe raccogliere turisti anche solo proponendosi come uno dei pochi posti d'Europa dove si è rimasti ad un mondo pre- industriallizzazione di massa, dove girando in macchina puoi ancora vedere un contadino che cammina di fianco al mulo carico di paglia. Ed invece la regione non riesce a cogliere questa possibilità, quasi certamente per una gestione non troppo illuminata a livello governativo e per una carenza di servizi che sono in effetti un reale handicap allo sviluppo.


La mattina che approdiamo al caseificio Di Nucci ad Agnone mi cade subito l'occhio su questa tinozza, siero e coagulo ancora assieme, il primo step della caseificazione. 
La mattinata è tersa e bellissima, il papà della nostra compagna di classe Serena, Franco Di Nucci, ci aspetta per farci fare una visita del caseificio e noi non potremmo essere più felici. Il loro caseificio è uno dei più vecchi d'Italia, hanno documenti che attestano la loro produzione di caciocavalli addirittura al 1650 e amano da morire il loro mestiere. La cura che mettono nella produzione, la qualità del latte che usano- solo dei pascoli dei monti che circondano Agnone- e il rispetto per una tradizione vecchia di secoli li fa essere un motivo di orgoglio per tutti noi, un bene da proteggere. Nel laboratorio assaggiamo la stracciata appena fatta, vediamo fare il caciocavallo e la ricotta, fotografiamo, chiediamo e soprattutto annusiamo. Qualche metro più in là e ci spostiamo  alle stanze di stagionatura dove ai caciocavalli è richiesto di dare il meglio di loro.


Guardiamo, tocchiamo, annusiamo, siamo incantate da tutto quello che ci circonda e dalla capacità di Franco di trasmettere la passione per quello che fa, un dono raro da trovare. Passiamo alla zona "eventi" del caseificio, una grande sala dove Franco ha raccolto gli strumenti del mestiere in una sorta di museo del proprio caseificio: ci sono le vecchie caldaie, i mestoli e i recipienti di rame, una tipica produzione agnonese. Minuziose spiegazioni, tante domande, molto stupore quando sfogliamo volumi vecchi di centinaia d'anni raccolti da Franco sulla produzione agricola del Meridione e tanti tanti libri che raccolgono fotografie, elenchi di produzioni e di tecniche casearie italiane. 
Ciò che ci stupisce di più è che tutto quello che ha accumulato Franco lo ha cominciato a fare decine di anni fa, quando di cultura all'interno del mondo del cibo se ne parlava ancora ben poco e Slow Food e Gambero Rosso dovevano ancora nascere. Il fatto che adesso i suoi meravigliosi caciocavalli ricevano ogni anno numerosi premi è la giusta ricompensa per chi non si è mai fatto tentare da inutili scorciatoie produttive.


Napoli, Pasqua, forse la più piovosa che si sia mai registrata nella storia dell'ultimo secolo (inteso il '900 ovviamente:-), sicuramente una sorpresa per chi era partito sperando di godersi un deciso sole primaverile. L'itinerario è stato il più classico possibile, con una  sosta speciale nel monastero di Santa Chiara che abbiamo trovato un luogo surreale per il silenzio e la bellezza che vi si trovava. Maioliche affrescate, sentieri che si dipanano verso alberi di limone e arancio, piccole aiuole dal prato perfetto, questo è stato il luogo che più di tutti per me è valso il viaggio: non le sue chiese barocche, non i sotterranei carichi di magia e storia, non i mercati strabordanti di verdure e molluschi, semplicemente questo delizioso chiostro, con il profumo delle zagare nell'aria e delle arance per terra. Sacro e profano assieme in un connubio perfetto.

Napoli, pioggia, pizza la trilogia è completa e perfetta. Siamo qui pronte a mangiare pizza a tutti gli orari, a provare, testare, capire tutto quello che ci perdiamo ogni volta che mangiamo la pizza a 1000 km più a nord. Partiamo con un pezzo da 40, con il meglio secondo tutti: Sorbillo.
Lunga la fila prima di entrare, media la quantità delle pizze in menù, corta l'attesa per vedercele arrivare fumanti nel piatto. Arrivano enormi, il profumo è idilliaco, lo spessore della pasta ci lascia subito perplesse. 
"Ma non è un po' troppo sottile?" diciamo in coro.
La assaggiamo, la qualità delle materie prime dei condimenti non si discute, sono ottime. E' la pasta che ci lascia perplessa: sottile, quasi gommosa a tratti.
La finiamo, sorridiamo per il conto (24€ in 4) e continuiamo il nostro giro culturale per la città, qualche ora dopo la pizza è ancora tutta lì nello stomaco, impossibile da digerire. La pesantezza ci ispira per una pausa caffè, che si rivela in effetti ottimo.
Alle 20 decidiamo per un Americano per ri-provare a digerire: per fortuna funziona.


Altro giro, altro regalo, il giorno dopo ci accoglie con un timido sole, timido infatti perchè dopo un'ora ricomincia a piovere, più forte persino del giorno prima, se è possibile. La missione del giorno era provare un'altra pizza (più digeribile possibilmente) e fare un giro per la Napoli sotterranea, partendo da via dei Tribunali (ci sono anche altri itinerari e penso tutti meritevoli).
Napoli sotterranea è un mondo a 40 metri di profondità. Un mondo oscuro (candele alla mano) umido, ricco di storia, magia e sofferenza. Storia per i pozzari che ci pulivano abitualmente le grosse cave di tufo dove arrivava l'acqua pulita per i signori dei palazzi sovrastanti, magia per quella atmosfera un po' da Indiana Jones che si respira (il cimitero delle Fontanelle poi, con tutti i suoi teschi non ha certo bisogno di nient'altro per risultare magico), sofferenza perchè durante i bombardamenti dell'ultima guerra era qui che la gente si nascondeva, urlando il proprio dolore con scritte eloquenti sui muri.
Due ore intense ed affascinanti, profondamente belle.

La sera ci raccogliamo ad un tavolo con guida e computer acceso per decidere la pizzeria: è domenica, Da Michele è chiuso come Starita a Materdei. Leggiamo molte recensioni sulla pizzeria La Notizia a Posillipo, è anche una delle poche aperte, decidiamo per lei.

Il locale è piccolo e accogliente, il profumo ottimo e il forno a legna lavora a pieno ritmo. Scegliamo le pizze più semplici possibili, margherita e marinara. All'arrivo ci appaiono molto simili a quelle di Sorbillo, pasta sottile forse meno gommosa però condimento decisamente meno saporito. Una birra e poi aspettiamo la prova digestione. Non si fa attendere e questa volta capiamo che è andata bene, dopo poco tempo la pizza è brillantemente scomparsa dai nostri stomaci. Quindi? Quindi non lo sappiamo, abbiamo chiesto in giro e tutti ci hanno confermato che la pizza napoletana deve essere così, sottile in modo da piegarla meglio e mangiarla in (quasi) un sol boccone. Noi restiamo convinte che una pizza debba essere più alta, meglio lievitata e soprattutto più digeribile. 
Andiamo via da Napoli con la pizza di Reggio Emilia ancora di più nel cuore, quella che per noi rimane ancora la più buona pizza d'Italia.


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