venerdì 29 ottobre 2010

Quattro libri ed un film

Domani sera cambia l'ora e come ogni anno le nostre serate diventeranno improvvisamente più lunghe, più intime e anche più adatte ad essere vissute sotto la coperta e con un buon libro in mano (ovvero la mia attività preferita:-). Per questo oggi ho pensato di parlare di 4 bei libri e di un film, ovviamente tutti da food-addicted e tutti più o meno nuovi (propinarvi cose vecchie e già sentite non mi sembrava tanto carino:-).




Ed eccoci qui, trattasi, in ordine, di un libro di ricette, uno di scienze gastronomiche, uno di narrativa gastronomica e l'ultimo mischia un pò di ricette con tanta storia e cultura che ci sta dietro queste ultime.
Nell'ordine abbiamo quindi:


  • Regali golosi di Sigrid Verbert, Giunti Editore: non penso di dover dire molto, chi non conosce la foodblogger italo-belga più famosa della rete? Il libro è come è il suo blog: semplice etereo, elegante, mai stucchevole, insomma un must:-)

  • La scienza in cucina di Hervè This, Edizioni Dedalo: ultimo nato dei libri che coniugano la scienza con la cucina, spiega i numerosi fenomeni chimici che avvengono quando cuciniamo e ci fa capire come siamo tutti, alla fine, dei piccoli chimici:-). Il libro fornisce le risposte a tutti quelli che da sempre si pongono interrogativi come: perchè i gamberetti diventano rosa quando li cuoci? cosa succede quando creiamo una meringa? Dedicato a chi non è rimasto traumatizzato dalla chimica al liceo:-)


    • Lo chef è un dio di Ilaria Bellantoni, Feltrinelli Editore: Ilaria -nome dell'autrice e della protagonista- accetta la sfida di passare alcuni mesi nella cucina di un grande chef stellato per imparare a far da mangiare, attività in cui è negata, e per capire cosa c'è dietro un menù raffinato e straordinariamente caro. Il mondo della cucina di alto livello si scoprirà a lei sotto la guida di una femminista realmente esistita, Peg Bracker (la quale aveva ideato decine di ricette che non richiedevano troppo impegno ai fornelli, questo in tempi ancora non sospetti di saccocci Buitoni:-) che non mancherà di darle spunti di buon senso e di umorismo per trarre il meglio da questa avventura. Dedicato alle cuoche femministe inside:-)


    • La cucina napoletana di Edoardo Capecelatro, Ponte alle Grazie Editore: Napoli ha la fama di essere uno dei posti migliori d'Italia dove mangiare ma pochi forse conoscono l'immensa cultura gastronomica che nasconde ogni piatto partenopeo: l'uso degli ingredienti, i soprannomi di molti di questi, le feste in cui si preparano, tutto rivela un mondo antichissimo di riti e tradizioni tramandate da famiglia in famiglia. Dedicato a chi si sente napoletano da sempre:-)
      

      E adesso è il turno del film: Soul Kitchen è uscito a luglio (non si tratta quindi di una new entry) e lo consiglio per chi abbia voglia di una divertente commedia gastronomica in salsa etnica: gli ingredienti sono i bassifondi di Amburgo, un infimo locale, un cuoco greco ed un suo sostituto proveniente dalle cucine di alto rango. Frullate tutto assieme e otterrete questa brillante commedia.

      mercoledì 27 ottobre 2010

      Riflessioni post Salone del Gusto

      Oggi riflessioni finali sul S.G dopo le varie top ten e top five dei giorni scorsi. 
      Sui vari food blog è da giorni che imperversano critiche, complimenti, chi dice che non è più quello di una volta (ma c'è mai qualcuno che non lo dice?!), chi dice che mancavano alcuni stand fondamentali, chi critica il costo del biglietto in rapporto all'offerta, chi dice che stà già comprando i biglietti per la prossima edizione. Insomma è tutto una via vai di commenti, alcuni, come sempre, interessanti ed altri meno (addirittura c'è chi dice "io non ci andrò mai" Ma perchè poi? Mah..).
      Insomma dopo tutto questo gran parlare ho pensato di mettere in ordine le mie riflessioni e di dire anche io come l'ho trovato questo Salone del Gusto, tanto per non farci mancare punti di vista :-)
      Partendo dalla location, dettaglio non poco importante secondo meio, sinceramente, trasferirei il tutto a Milano e questo per dei semplici motivi: prima di tutto perchè Milano è più comoda per tutti (produttori nazionali ed internazionali) e poi perchè offre degli spazi espositivi più belli e meglio organizzati. Mi spiego meglio, il Lingotto essendo una ex fabbrica Fiat è piuttosto bruttino e nel cibo la presentazione ha la sua bella importanza: è vero che la presentazione la fa lo stand in sè e non la fiera, ma anche una costruzione più bella e ideata apposta per questi tipi di eventi può far la differenza. Chi visita la nuova Fiera di Milano non può che non rimanere affascinato dalle geometrie e dal gioco di trasparenze ideato da Fuksas, esperienza che non si può certo provare si quando visita il Lingotto. Altro punto a sfavore del Lingotto è la sua posizione: per arrivarci bisogna letteralmente attraversare la città (non proprio il massimo per chi non la conosce ma nemmeno per chi ci abita suppongo) mentre la Fiera di Milano è comodamente posta vicino all'autostrada e alla tangenziale. Ultimo dettaglio, direi "strategico", la futura Milano Expo avrà luogo esattamente nella zona fiera ed il tema dell'expo sarà niente di meno che "nutrire il pianeta" in logica molto slow foodiana.. quindi perchè non cominciare a unire il tutto?
      Passando all'organizzazione del S.G non ho molto da dire, secondo me è stata ottima ed ho anche molto apprezzato gli orari di apertura e chiusura oltre ai provvidenziali punti di raccolta differenziata dei rifiuti. Quello che poi ho trovato veramente entusiasmante è stata la totale applicazione della teoria slow foodiana in un contesto fieristico dai grandi numeri, che di per sè ha poco di slow (e molto di fast): la scelta degli orti biologici come aiuole d'ingresso, le conferenze su innumerevoli temi, la cura per ogni dettaglio per far passare l'idea che "no non è un'utopia, si può veramente vivere e mangiare meglio", la vendita delle bottigliette dell'acqua Lurisia a soli 0,50 centesimi e non ai soliti 1,50 delle fiere, tutto era in perfetta coerenza petriniana.
      Per quanto riguarda i prezzi, posso solo dire che 20€ la trovo una cifra più che onesta da spendere per un simile spettacolo pantagruelico e che 10€ per un pranzo cucinato con i presìdi Slow Food sono semplicemente 10€ spesi bene. Poi che in alcuni banchi (specie nello street food) i prezzi fossero un pò esosi, questo è vero ma non mi sembra comunque il caso di montare un caso "da prezzi folli".
      Ultima considerazione, ma che ritengo in assoluto la più importante, è che ho trovato semplicemente geniale l'idea di fare una grande cena post Salone (Ne avanza per me?), in cui molti grandi nomi della cucina europea erano chiamati ad usare i prodotti avanzati dal Salone, così da non buttarli via. La cena era in realtà un vero e proprio happening e i grandi chef avevano il compito di ideare nuovi piatti al momento, con l'obbligo di usare solo le giacenze. 
      Una grande prova che cambiare mentalità si può, ma solo grazie ad una coerenza ferrea. 


      martedì 26 ottobre 2010

      Salone del gusto#2

      Eccoci qui per la seconda puntata del S.G: oggi Nord Italia. Non c'è niente da dire i padiglioni che ospitavano le regioni del nord traboccavano di stand e vedere e assaggiare tutto in un giorno solo non è stato facile (ed infatti non ce l'abbiamo fatta:-). La regione sicuramente più rappresentata era il Piemonte con decine e decine di stand, dal mitico Mulino Marino (di bonciana memoria), ai mieli delle valli del Cuneese,  ai baci di Cherasco, ai canestrelli di Biella, ai formaggi/burro di Occelli, al presidio della carne del podere La Granda... Insomma non mancava proprio niente. Novità di questo S.G 2010 era la divisione dei prodotti per regione e non per tipologia, che in effetti rendeva più semplice farsi un'idea completa dell'offerta gastronomica della regione prescelta. Noi tanto per ambientarci subito, abbiamo cominciato il S.G con un piatto di agnolotti e con una battuta di Fassone. Entrambi erano venduti in un particolare stand che radunava 4 ottimi ristoranti dell'astigiano, che a scelta avevano deciso di dividersi i piatti: chi gli agnolotti, chi la battuta, chi il bollito, chi il bonet. Il gioco era semplice: leggevi il menu, sceglievi cosa prendere, facevi lo scontrino nella cassa del ristorante addetto a quel piatto e poi aspettavi davanti ad una cucina, comune ai 4, che ti arrivasse il piatto. Bè che dire gli agnolotti erano magnifici e la battuta ha fatto vacillare per alcuni minuti le mie convinzioni pseudo vegetariane. Lo stand, inoltre, era preso d'assalto da numerosi carnivori incalliti che intercalavano i loro discorsi con muggiti di piacere dati dalla povera Fassona ridotta ad un cubotto di carne cruda (in ogni caso una dignitosissima morte:-).
      Dopo questo assaggio della "mia" regione (che poi lo è relativamente perchè il Lago Maggiore è a totale influenza lombarda, siamo molto più vicini a Milano rispetto che a Torino) siamo passate all'ispezione minuziosa degli stand ed il risultato è questo, una nuova top-ma ten questa volta- dei magnifici dieci:

      1 Vellutata di Chinotto, Azienda Agricola Parodi Alessandro, Finale Ligure Borgo (SV):
         puro semplice piacere per gli amanti del chinotto, quello vero; per questa vellutata
         viene usata solamente la polpa del frutto ed il risultato fa trasecolare le papille
         gustative, non siamo riuscite a non fare un'adeguata scorta che ovviamente verrà con
         noi a Londra!


      2 Il lonzino di fico, Azienda La Buona Usanza, Serra de' Conti (AN): con i fichi noi 
         italiani ci facciamo veramente di tutto, ma non avrei mai pensato di trovare persino un
         salame di fichi! Questo è fatto proprio come un salame, si deve tagliare sottile sottile
         ed è formato da fichi secchi, noci, mandorle e anice stellato. Buono? Molto di più. Una
         vera goduria, di quelle che proprio non puoi esimerti dal comprare.


      3 Il fagiolo giàlet della Val Belluna, presìdio Slow Food: trattasi di un fagiolo giallino
         morbidissimo, che al palato ha la stessa consistenza morbida e amidosa della patata.. Il
         sapore è delicato ma direi che è proprio la consistenza a sorprendere di più. Buono e
         caro allo stesso tempo: la produzione è di soli 20 quintali annui e Slow Food insieme al
         Consorzio dei produttori stanno lottando per mantenere in vita questa coltivazione. 


      4 Il raviggiolo dell'alto Appennino Forlivese, Azienda Agricola Boschetto di Ontaneta
         Premilcuore (FC): il raviggiolo a differenza dello squaquerone è fatto esclusivamente
         nella provincia di Forlì-Cesena e differisce da quest'ultimo per l'uso del latte a crudo e,
         come sempre in questi casi, la differenza si sente! Il raviggiolo assaggiato era
         l'esaltazione del latte crudo appena cagliato, di una morbidezza senza eguali. Se passate
         in zona non perdetevelo.


      5 Il miele dell'apicoltura biologica Floriano, Elva (CN): non è facile da raggiungere
        questa apicoltura, ha infatti il primato di essere la più alta d'Italia (ben 2.150 m s.l.m) ed
        è incastonata sulle Alpi al confine con la Francia. I mieli prodotti sono assolutamente i
        migliori per noi, quello di rododendro, poi, è imbattibile.


      6 Le marmellate e le mostarde de Le Tamerici, Bagnolo San Vito (MN): Le tamerici non
        sono certo un segreto per nessuno, sono sicuramente tra le migliori aziende produttrici
        di conserve in Italia. Lo stand permetteva di assaggiare moltissimi dei loro prodotti, tutti
        superbi, la mostarda di arance è divina.


      7 I cioccolatini Majani: tra i primi ricordi gastronomici che ho, c'è quello del cremino
         Fiat. Tremendamente piacevole, si squaglia in bocca liberando aroma di nocciole e
         cacaco. Da dipendenza secondo me. Insomma per me la Majani fa da sempre i migliori
         cremini che esistano e la trovo la migliore delle "aziende" cioccolataie italiane. Da
         pochi mesi producono dei nuovi cremini chiamati "Bricks", più grandi del normale e con 
         nuove farce: caffè, nocciole, mandorle..


      8 Il Mulino Marino, Cossano Belbo (CN): del Mulino Marino si sa di tutto e di più da
        quando Bonci ne ha fatto "pubblica confessione d'uso", in più i loro prodotti sono stati
        uno dei regali durante l'ultima Festa del Cavolo, quindi direi che non ha bisogno di
        presentazioni..


      9 L'officina di cioccolato, Domodossola (VB): qui si tratta sia di patriottismo, sia di
         entusiasmo per un'idea particolare, resa unica da molta attenzione ai
         dettagli. Questo laboratorio produce strumenti di lavoro in cioccolato o meglio "kit del
         perfetto/a...": curiosa idea regalo che stupirà anche quelli che hanno già visto "tutto". 
         Potrete comprare kit da infermiera (con siringa, termometro,pillole in cioccolato), da 
         architetto (con compasso squadre..), da segretaria (computer, penne, calcolatrice..) 
         realizzati in ottimo cioccolato (qualche natale fa ho divorato un kit da meccanico:-) 


      10 I formaggi ed il burro di Occelli: un'informazione su tutte: è l'unico che usa la panna
          cruda per fare il burro, seconda informazione: provate il resto dei formaggi e capirete
          di cosa stò parlando!




      Ecco questo è tutto quello che a noi è risultato il meglio del Salone per l'Italia del Nord, di sicuro mancano tante cose ma in un pomeriggio non potevamo fare di più.. Tra due anni si ricomincia!

      lunedì 25 ottobre 2010

      Salone del gusto#1

      Settimana di latenza dal blog ma settimana molto impegnativa e importante: in ordine abbiamo trovato casa a Londra e siamo andate al Salone del Gusto, ovvero per noi gastronomi, la Fiera con la F maiuscola (e anche tutte le altre lettere:-)
      Il Salone del Gusto rende onore a tutto (o quasi) il patrimonio gastronomico italiano organizzando oltre alla fiera in sè, anche conferenze e workshop che spaziano dagli argomenti cari a Slow Food (leggesi l'importanza della biodiversità e della preservazione dei prodotti agroalimentari di tutti i popoli del mondo) a quelli della più feroce attualità come gli ogm o l'aumento della commercializzazione di prodotti alimentari di "nicchia" nei supermercati. Di certo non c'è che di annoiarsi e anzi per chi è appassionato a questo mondo è pure troppo: non fai tempo a sentire quella conferenza che comincia quel laboratorio del gusto, ma  durante quel laboratorio del gusto c'è anche l'aperitivo con il cavoletto.. Insomma il salone del Gusto è enorme, offre moltissimo e per gustarlo al meglio bisogna scegliere con attenzione tutto l'itinerario. Noi abbiamo scelto di dividere il salone in due giorni concentrando nel primo l'estero e l'Italia del sud e nel secondo l'Italia del nord. Nel bel mezzo ci sono scappate anche parecchie visite al mercato di street food allestito all'esterno: una sorta di miniatura del mercato organizzato dallo Chef Kumale a Cesena.
      Riguardo alla presenza di banchi alimentari provenienti dall'estero c'è da dire subito una cosa: rispetto al Salone del 2006 la loro presenza è calata drasticamente, lasciando un grande vuoto nella gastronomia orientale per nulla rappresentata in questa edizione. Il perchè và secondo noi ricercato nella crisi che evidentemente non ha fatto scomodare molti presìdi e ristoranti della terra del Sol Levante alla volta di Torino. Sicuramente un gran peccato. Altra cosa che non abbiamo potuto non notare -ennesimo segno tangibile della crisi- è che gli assaggi ora sono a pagamento, mentre 4 anni fa era tutto gratuito; ora per onestà "di cronaca" dobbiamo dire che non tutto era a pagamento ma molti degli stand facevano fatica a offrire e questo in una proporzione "più da lontano viene il prodotto più l'assaggio è caro". Certo, ovvio, però all'inizio ci ha lasciato un pò stralunate. La passeggiata per il Salone "estero" ci ha viste impegnate in pani austriaci e tedeschi (ovviamente tutti di segale e ad alto contenuto di semini:-), presìdi di particolari cavoli e patate, aringhe norvegesi, mooooltissimi formaggi francesi, moooltissimi formaggi svizzeri e uno stand delle Kettle chips su cui Marcy si è fiondata (va bè non si può chiedere all'UK di offrire molto di più!). Ovviamente c'era molto altro ma sinceramente quando abbiamo visitato il padiglione dedicato agli altri paesi era un momento di surplus di gente che non ci ha permesso di chiedere e scoprire molto: dopo un'ora abbondante di folla in ogni metro quadrato la voglia, credeteci, sparisce.
      Discorso diverso per l'Italia del Sud: la gente era molto meno e la situazione risultava più gestibile. Ora ovviamente non posso citare tutto quello che abbiamo visto e assaggiato ma una top five (alla moda del cavoletto) del Sud è d'obbligo farla:


      1 Burrata del caseificio Olanda, Andria: qualcosa di superlativo, una vera burrata,
        venduta anche ad Eataly.


      2 Stand delle mandorle di Noto e del pistacchio di Bronte: non c'è molto da dire è
        semplicemente la frutta secca migliore d'Italia, la crema di pistacchi di Bronte potrebbe
        poi rendere ogni vostro dolce qualcosa di irripetibile.


      3 Ricotta e mozzarella di bufala di Domenico Romagnuolo: questo caseificio ha avuto
        molti riconoscimenti come produttore dei migliori formaggi filanti d'Italia, e si sente. La
        mozzarella è divina e la ricotta era perfetta nel cannolo in cui la facevano provare.


      4 Fichi al rum/o caffè ricoperti di cacao, dell'officina del gusto Santomiele, Salerno:
        piccoli, teneri profumatissimi fichi del Cilento, imbevuti di rum e melassa di fichi e
        ricoperti di cacao, devo aggiungere altro?!  


      5 Il pane di Matera: banale? Si è vero forse un pò, ma è troppo buono e troppo custode di
         tutto quello che fa buono il pane per non citarlo: un presidio da salvare con tutte le
         forze.


      Per finire qualche noto negativa: ci ha piuttosto deluso la presenza del Molise, che sostanzialmente non c'era: solo due stand di cui uno sinceramente non proprio degno di nota, proponeva infatti terribili oli aromatizzati.. Ragazze di Gustitaly siamo nelle vostre mani!!





      venerdì 15 ottobre 2010

      Once and for all Cambridge

      Ormai sono passate due settimane dal nostro rientro in Italia: il tempo di riadattarci, di mangiare tutto quello che ci era terribilmente mancato, di riordinare gli appunti inglesi ed eccoci qua, pronte a stilare quella che non vuole essere assolutamente una guida esaustiva, ma vuole essere una piccola guida iniziale per chi approda a Cambridge, per chi nelle prime settimane ha bisogno di alcuni punti fissi "alimentari". Ovviamente se qualcuno sapesse altri posti, saremo ben felici di allargare la guida!
      Prima di tutto alcuni piccoli consigli: Cambridge non è Londra, ma essendo molto famosa molti sono portati a credere che anch'essa sia multiculturale e ricca di stimoli come la capitale: sbagliato. Cambridge è una piccola cittadina molto british che ha nulla o poco a che fare con Londra e che offre molto poco. Solo per fare un esempio i negozi chiudono dalle 16:30 alla 17:00. Stop. 
      Cambridge, quindi, non assomiglia per nulla ad un modello di città-universitaria italiana ma è semplicemente una tranquilla cittadina residenziale che ospita una famosissima università, la quale ospita moltissimi studenti che studiano moltissimo. Insomma ci siamo capiti:-) 
      Proprio per questo, consiglio caldamente di portarsi da casa l'olio e il parmigiano, il primo introvabile ed entrambi venduti ad un prezzo proibitivo. Noi abbiamo travasato l'olio in bottigliette di plastica che abbiamo poi messo in valigia avvolte nei vestiti e direi che è il metodo migliore. Per quanto riguarda la pasta invece il discorso è diverso, si trova anche lì e spesso anche delle marche più famose. 
      Ecco quindi l'elenco dei posti a cui fare riferimento per le vostre provviste:


      - pane: il pane in Inghilterra è il pane in cassetta e per trovare qualcosa di più decente a                    
                 Cambridge ci sono due posti: il primo è un banchetto all'interno del Grande Arcade 
                 (o Lyon Yard), lo riconoscerete dalle splendide baguette e dai pains du campagne 
                 che fanno bella mostra di sè in mezzo a mieli e senapi francesi. I panettieri sono 
                 francesi e i loro prodotti sono ottimi (consigliatissimo anche per voglie improvvise       
                 di dolcetti fatti a regola d'arte:-). 
                 Il secondo posto è invece un banco al mercato in Sydney Street che è aperto              
                 solo la domenica e che offre una vastissima scelta di pani.


      - frutta e verdura:  ecco per quanto riguarda frutta e verdura, evitate le catene di
                                   supermercati (che fanno arrivare f&v congelata dall'Africa o dal         
                                   Sud America) e dirigetevi anche questa volta al mercato di Sydney
                                   Street, i banchi sono gli stessi durante la settimana mentre cambiano
                                   la domenica. Troverete simpatici agricoltori che portano
                                   quotidianamente i loro prodotti in centro a Cambridge, che vi
                                   serviranno in graziosi cestini di vimini.


      - riso e cereali, prodotti bio in generale: Negozio Revital, 5 Bridge Street. Bel negozio,
                                                                   molto rifornito, vende anche farmaci 
                                                                   omeopatici.


      - ristoranti: ammettiamo di aver girato e provato veramente poco in fatto eating out, in
                        quanto di ristoranti di qualità a prezzi abbordabili non ne abbiamo trovati;
                        l'unico che vale la pena di menzionare è il Rainbow Cafè: simpatico  
                        ristorantino vegetariano di fronte al King's College, certo la qualità non è
                        minimamente paragonabile a quella di un localino veg italiano, però come si       
                        dice "piuttosto che niente, meglio piuttosto". Il menù prevede diversi primi a
                        base di cuscus e cereali integrali con verdure (porzioni abbondanti) e alcuni
                        buoni dolci anche per celiaci.


      - tea room: avete voglia di un buon the inglese? bevuto in una tipica british tea room?
                        ecco qua il posto giusto, con tanto di pura moquette verde inglese e di
                        cameriere vestite di nero e bianco con cuffietta. 
                        Il posto si chiama Aunties tea shop e offre fette di torta e scones home made
                        da accompagnare alla bollente bevanda. Posto carino, quasi surreale per molti
                        aspetti ma sicuramente adatto per un tuffo nella cultura inglese.


      - voglia di etnico?: comprensibile. soprattutto per chi pensa che l'unico lato gastronomico
                                  positivo di un soggiorno in uk, sia quello di provare molte cucine
                                  diverse. Cambridge, ovviamente, non offre la scelta/qualità di Londra,
                                  ma ospita uno dei numerosissimi Wagamama onnipresenti sul territorio
                                  inglese. Cos'è? Niente di meno che una catena di cibo orientale (in
                                  genere eseguito decentemente), ha lo straordinario pregio di essere
                                  un posto sostanzialmente carino e molto pulito. Insomma non
                                  ci andrei tutti i giorni ma in ogni caso è da tenere in considerazione:
                                  pulito, cibo decente e pure anche veg. In uk, non sono cose che si 
                                  trovano tutti i giorni! 


      - voglia di cocktail?: ok della birra non ne volete più sapere, ormai la odiate e
                                    uccidereste per un mojito. La soluzione si chiama semplicemente
                                    Baroosh bar, gran bel locale dove si servono cocktail, vini e birre in
                                   un contesto più elegante e più bello dei normali pub inglesi (di cui 
                                   per inciso non sono una fan). 
                                  


      Questo è tutto quanto abbiamo trovato in un mese a Cambridge, sicuramente ci sarebbe molto altro da menzionare, così aspettiamo le vostre ulteriori segnalazioni!
                                 

      lunedì 11 ottobre 2010

      Work in progress in Molise

      Dopo tre estati in Molise (per me, ed una ventina di Marcy) comprendenti mille giri ed una conoscenza del territorio quasi capillare (ok il Molise non è grande:-) ero arrivata alla conclusione che era veramente un peccato che una regione così ricca, gastronomicamente parlando, fosse allo stesso tempo così povera di promozione, turismo e di enti che assicurassero la giusta visibilità ai mile prodotti agroalimentari che non hanno nulla da invidiare ad altre realtà più affermate. Dopo questa riflessione e la presa di coscienza che "si in effetti bisognerebbe fare qualcosa prima che la crisi e la globalizzazione cancellino tutto questo patrimonio" scopriamo nientemeno che due donne di Termoli, evidentemente piuttosto intraprendenti, hanno deciso di fare quello che noi pensavamo di fare (scusate il gioco di parole:-) cioè di aprire un sito, dalla grafica molto accattivante, sulle produzioni molisane con il progetto di aprire anche un negozio on-line in modo da farle conoscere anche a chi non può mettere piede nella piccola regione.
      Tutto questo ci fa ovviamente molto piacere perchè vuol dire che qualcosa si stà smuovendo e che forse tutti quei piccoli produttori e allevatori avranno un futuro più roseo, un futuro in cui la distanza geografica non impedirà loro di essere conosciuti e riconosciuti come testimoni di una cultura che si tramanda da padre e figlio da secoli. Ultimi eredi di un saper fare in via d'estinzione. Un sito certo non cambia tutto ma è il segnale di un cambiamento che non può non essere apprezzato e che speriamo, di tutto cuore, sia l'inizio di una nuova era per il Molise.

      giovedì 7 ottobre 2010

      Festival internazionale del cibo di strada 2010

      Domenica scorsa ho fatto un giro gastronomico intorno a mondo in circa 7 ore.

      Ho assaggiato pizza napoletana realizzata con prodotti dei presidii Slow Food, farinata, focaccia di recco, samosa e vegetable biryani, empanadas, pesce fritto al cono e acarajè, pane e panelle e shabakia-kabrazal il tutto accompagnato da un ottimo tè alla menta marocchino, il shabakia kabrzal aromatizzato alla menta.

      Dove ho assaggiato tutto questo? Al Festival Internazionale del Cibo di strada a Cesena. Questo festival biennale, nato a Cesena nel 2000, è arrivato alla sua 6° edizione e come negli anni passati ha animato per 3 giorni, dal 1 al 3 ottobre, il centro storico della città con una ventina di isole gastronomiche che proponevano il cibo di strada proveniente da ogni angolo del mondo. Durante il festival inoltre in tutti e 3 i giorni si sono svolti incontri, esposizioni, presentazioni di libri e di laboratori di cucina e degustazioni il tutto a cura dell’esperto “gastronomede” Vittorio Castellani alias Chef Kumalè (www.ilgastronomade.com) che ha collaborato inoltre come co-curatore della sezione internazionale.


      Festival molto ben organizzato, attento all’ambiente, infatti tutte le stoviglie utilizzate per

      servire il cibo erano biodegradabili e attento alla qualità del cibo, in quanto molti prodotti alimentari erano presidi Slow Food. Il mio “molto ben organizzato” è riferito al fatto che, oltre ad essere ordinato come evento in sè per sè, (quindi poca ressa, molte panche e tavole in cui sedersi per mangiare, casse ben visibili e posizionate ai due estremi del perimetro in cui si svolgeva il tutto, personale gentile e veloce nel servirti), aveva come particolarità il fatto che chi dava da mangiare non maneggiava denaro: per cui festival attento anche alle norme igieniche. Infatti alle casse si cambiavano i soldi, ovviamente la cifra che volevi, in voucher di carta del valore di 1 €, in questo modo nei vari stand pagavi con quelli direttamente al momento della consegna del cibo senza code per pagare e soldi svolazzanti passanti di mani in mani, idea davvero furba, pratica e molto igienica, ed inoltre, se per caso ti avanzavano dei biglietti da 1 € molto semplicemente prima di andare via ripassavi dalla cassa ed eri rimborsato.

      Il cibo di strada, lo street food è da sempre semplice nella preparazione e molto legato alle tradizioni agro-alimentari del territorio a cui appartiene, è probabilmente la più pura tra le diverse forme di offerta gastronomica in quanto quella meno soggetta alle mode passeggere e inoltre, a mio avviso, è lo strumento che più facilmente consente una lettura storica, non solo gastronomica, di una città e dei suoi abitanti.

      Il cibo di strada è ovunque, si trova qui in Italia come nel lontano Oriente, in Africa come in America Latina, in Australia e gli Stati Uniti, racconta storie di piazze, strade e mercati, racconta di viaggi e scoperte, parla di popoli, di uomini e donne che hanno affrontato la fame e con pochi ingredienti sono stati capaci di realizzare piccoli “miracoli gastronomici” che con il passare del tempo hanno subito modifiche, arricchimenti o impoverimenti entrando così a far parte della cultura gastronomica di un territorio e raccontando di lui al resto del mondo.

      Non a caso questo festival si svolge a Casena, in Romagna, patria di quella piadina che rappresenta uno dei più riusciti esempi di street food.

      Quest’anno c’erano 26 stand, ovviamente a farla da padrone era l’Italia suddivisa in varie isole regionali, anzi cittadine perché venivano indicate le zone specifiche delle varie regioni in cui quel cibo di strada era tipico. C’erano Genova in rappresentanza della Liguria, Firenze per la Toscana, Alberobello e Manfredonia per la Puglia; la Campania invece aveva un suo stand regionale ed uno specifico per Napoli in cui si sfornavano solo pizze meravigliose, ed ancora Palermo con il suo panino con la milza, Merano con il suo wurtel meranese ed il brezel. Per finire la carrellata dell’Italia fast to eat il Mercato Saraceno che rappresentava Cesena e la sua provincia, Bagno di Romagna per l’intera Romagna e Parma con i suoi salumi e la sua torta fritta.

      Dal resto del mondo era scesa in campo l’America Meridionale con Brasile, Messico, Perù, Argentina e Venezuela; l’Africa con il Marocco ed Europa e Asia con Grecia, Barcellona, Provenza e Bangkok.

      Ma basta scrivere, le foto parlano da sole:

      In sequenza eccovi un favoloso trancio di pizza margherita originale napoletana con fior di latte di Agerola, samosa e pacora mix e una panoramica dello stand dell'India.



      Qui di seguito invece ci sono Pesce fritto al cono alla maniera di Cesenatico, acarajè brasiliano (pesce misto cotto nelle foglie di banano sevito con salsa baiana fatta di cipolla, olio di dendè, zenzero, noci basiliane e pane grattugiato) e infine una panoramica dello stand di Alberobello.



      lunedì 4 ottobre 2010

      Le Fooding a Milano



      Come vi avevo annunciato qualche mese fa anche Le Fooding è arrivato a Milano, o meglio arriverà il 15 ottobre.

      Il tutto si svolgerà dalle 19:00 alle 24:00 e da quello che emerge dal sito (non troppo in realtà) sarà un evento piuttosto sui generis, in cui alcuni degli chef più famosi di Milano proporranno alcune creazioni gastronomiche in contesti piuttosto particolari come in piena oscurità. Come si tradurrà tutta questa fashionata (passatemi il termine) in un evento di promozione di buon cibo italiano non lo so, ma penso valga la pena di provare, per soli 25€ poi! Insomma le Fooding è sbarcato a Milano, dopo location come San Francisco e Parigi, tutta la storia la potete trovare sul sito dell'associazione che tra l'altro vende per soli 10€ anche una guida sui ristoranti di Parigi, che a quanto si dice nella rete sembra affidabilissima.    



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