giovedì 30 settembre 2010

Cucina italiana all'estero: come esportare il falso

Ultime riflessioni gastro-inglesi, che da quando siamo tornate scorrono a fiumi nelle nostre telefonate. Dopo lo pseudo mercatino biologico e la ricerca giornaliera di frutta e verdura dal sapore decente, negli ultimi giorni cambridgesi siamo anche incappate in un posto che (a peso d'oro) vendeva prodotti italiani molto buoni e che in caso di attacco di panico/nostalgia dovuto da astinenza da pasta, parmigiano, mozzarella, passata, possono essere fondamentali per superare tale stato. Il posto in questione si chiama Olio e Farina, che abbiamo poi scoperto essere una catena di negozi liguri specializzata in vendita, all'estero, del meglio della produzione gastronomica italiana. Il posto a Cambridge è situato all'interno del Grande Arcade (o Lyone Yard, non ho ancora esattamente capito dove iniziasse uno e finisse l'altro!) ed è gestito da due ragazzi italiani molto simpatici, con cui abbiamo chiacchierato su Cambridge e sulla loro nuova vita lì. Olio e Farina è una catena (parola che a molti fa storcere il naso, anche a noi in genere, lo ammettiamo:-) di cibo italiano ma, differenza macroscopica rispetto alle altre catene, esporta all'estero solo il meglio della nostra produzione, facendo un controllo della qualità piuttosto severo, cosa che, dobbiamo essere sinceri, non succede praticamente mai quando uniamo le parole catena+cucina italiana. Infatti una delle cose che anno dopo anno mi fa sempre più colpo è il proliferare di posti (e aggiungo ancora la parola catena) che spacciano per cucina italiana quello che di italiano non ha nemmeno il nome (vedesi gli spaghetti con il sugo alla bolognese, nome sconosciuto agli abitanti del Bel Paese) e che così facendo, arrecano un incommensurabile danno alla nostra cucina. Esportare un'idea della nostra cucina (ed anche un gusto) così diverso da quello che in realtà è, ci espone infatti al rischio di vedercela contraffare con ancora più facilità, perchè, sostanzialmente si creano due cucine italiane parallele: una originale e una ad uso e costumo di un pubblico che ritiene normale usare il ketchup nelle lasagne "perchè così mi hanno detto di fare in quel locale là all'angolo". A tutto questo, chi di competenza (mi stò riferendo al Ministro delle Politiche Agrarie e Forestali e a quello del Turismo) dovrebbe lavorare giorno e notte per assicurare che la nostra immagine gastronomica all'estero non sia sistematicamente storpiata e abbruttita nel nome del profitto, ma invece tutelata in tutti i modi possibili, nel nome di quello che, secondo me, sarà uno dei pochi settori che ci salverà da una crisi economica che cambierà profondamente la vocazione dell'Italia: da paese con una forte industria manufatturiera diventeremo un paese di servizi, di turismo, ad uso e consumo di turisti asiatici sempre più numerosi, che arriveranno in massa a fotografare qualsiasi particolare che glia dia l'idea del "tipico italiano". E allora noi cosa facciamo? Davanti ad una opportunità simile vendiamo la nostra tipicità in nome del vero (e questo è veramente tipico) fancazzismo all'italiana? Perchè cose da fare secondo me ce ne sarebbero molte, e molte ancora si potrebbero copiare dai nostri amati-odiati cugini francesi, che però, guarda caso, di catene che spacciano cibo e prodotti francesi falsi non ne hanno neanche una e non ne permetterebbero mai. Loro, forse, il Mc French non l'avrebbero permesso, loro appunto.

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