venerdì 19 ottobre 2012

Salone del gusto#2012


Eh sì ecco a voi il Salone del Gusto 2012!
Il primo in cui, dopo anni di tante morbose incursioni da giovani appassionate, ci vede finalmente, collaborare attivamente ad alcune iniziative del Salone ed in generale a viverlo a 360°C grazie al fatto di essere studenti all'Unisg.
Un post, questo, ad alto tasso promozionale, pensato e scritto per fare un pochino di pubblicità ai progetti a cui stiamo lavorando da diversi mesi e che in questi ultimi frenetici giorni ci stanno facendo fare le ore piccole davanti al computer:


Passi belanti tour: viaggio tra i pecorini d'Italia

Un viaggio tra i profumi e i sapori delle produzioni casearie italiane più rare e particolari. Un' intensa   ora e mezza a chiacchierare con i casari custodi di pratiche antiche come la transumanza, per concludere con una degustazione guidata dei formaggi di cui si è parlato. I tour partono venerdì 26 alle 11:30 ed alle 19:00 e sabato 27 alle 16:00, potete prenotare il tour qui.

Gli illustri sconosciuti: viaggio tra i salumi dimenticati dalla GDO

Salumi prodotti da pochissimi artigiani, fatti con interiora, tagli particolari e spezie, frutto della saggezza dei contadini e del vecchio adagio "del maiale non si butta via niente". Salumi che non hanno spazio nella GDO perchè si pensa che non interessino al grande pubblico, forse erroneamente?!  
Sabato 27 alle 11:30 e alle 19:00. Per prenotare qui.

Giovani che fanno il mestiere dei nonni: voci dal ritorno alla terra

Garofalo lancia quest'anno i suoi tour marchiati Gente del Fud, tour basati sui prodotti recensiti su GDF e sui produttori ad essi collegati. Questo tour coinvolgerà i produttori giovani, quei ragazzi che continuano le produzioni storiche di famiglia o che invece ritornano ad una dimensione rurale spesso ignorata dai loro coetanei. Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Fagioli d'Italia per Garofalo

Zolfino, Sorana, Rosso di Lucca, fagiolina del Trasimeno.
Niente Borlotti, Cannellini e bianco di Spagna, ma una scoperta della biodiversità italiana che, a dispetto di quanto si sappia, è vastissima anche nel mondo delle leguminose.
Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Formaggi d'alta quota per Garofalo

Pascoli sulle Alpi e sugli Appennini, casari che allevano antiche razze bovine e che producono formaggi in condizioni decisamente più difficili di quelle che devono affrontare i loro colleghi in pianura.
Viaggio tra chi non si arrende alle comodità e lotta ogni giorno per far conoscere i propri prodotti dai profumi e sapori di prati incontaminati.
Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Inoltre ci sono i tour curati dagli altri ragazzi dell'Università, che potrete scoprire qui.

Tutti i tour (tranne l'ultimo la cui guida sarà una nostra compagna di classe) avranno come guida le qui presenti blogger, non mancate:-)







sabato 13 ottobre 2012

Grand tour Trentino-Alto Adige, tappa 1


Certe volte nella vista tutto si incastra perfettamente e così senza neanche pensarci ci si ritrova con un compleanno importante da festeggiare, uno stage da decidere ed una passione infinita per due provincie del Nord Est: il Trentino e l'Alto Adige.
Mixare queste tre cose è semplice, meno scontato è ottenere qualcosa di buono, come una settimana da passare in vacanza per festeggiare il compleanno, molte aziende da visitare e qualcuna che inaspettatamente sia interessata a te.
E così una settimana fa la piccola carovana è partita per passare la sua prima giornata a Trento, per poi proseguire a Vigo di Ton e per finire ad Andriano, dove l'attendeva un b&b formato castello medievale dove trascorrere cinque lunghi giorni a vedere un po' se il destino ce la faceva giocare questa carta nord orientale.


In tanti anni di più o meno assidua frequentazione della zona ci eravamo sempre ripromesse di visitare
la Ferrari un giorno o l'altro, per i 30 anni ci è sembrato il momento giusto per farlo.
Lo stabilimento della casa più famosa del metodo classico italiano c'è sembrato una struttura work in progress dove si mischiano stili diversi di architettura frutto di allargamenti e ristrutturazioni continui che per il momento generano un po' di confusione al visitatore: si inizia con una strana casetta di legno stile anni '70 (con arredamenti originali) per finire in una struttura tutta specchi e sculture di Arnaldo Pomodoro molto anni 2000.
Continuità? Non sono una esperta d'arte nè di interior design ma se fossi un membro della famiglia Lunelli modificherei sensibilmente la parte anni '70-'80 che è di gusto chiaramente sorpassato e poco in linea con i canoni dell'estetica dell'arredamento attuale.


Unico tributo alla modernità dei divanetti di plastica bianco lattiginoso a marchio Ferrari, suppongo dotati di lampadine interne per ottenere giochi di luce nei dehor dei locali che servono Ferrari. 
Il tour inizia con un breve filmato della storia delle Cantine, nate dall'idea dell'enologo Giulio Ferrari che ebbe l'intuizione di capire che la zona della Champagne e quella del Trentino avevano molti punti in comune e che importando delle barbatelle di Chardonnay dalla Francia all'Italia si poteva creare un Champagne tutto italiano. Detto fatto, in poco tempo iniziò la produzione di un metodo classico che ebbe fin da subito un grandissimo successo e vinse parecchi premi persino in Francia. Ferrari non aveva figli ma ebbe, da anziano, un'altra intuizione quella di lasciare la sua azienda ad un rivenditore di vino di Trento, Bruno Lunelli. La famiglia Lunelli, alla terza generazione, è ancora l'attuale proprietaria delle cantine Ferrari.

  
La visita prosegue snodandosi dalla zona di produzione del vino a quella dove le bottiglie in cui sta avvenendo la seconda fermentazione riposano per almeno due anni, per finire nella sala dove avviene il degorgement (rimozione tramite congelazione del collo di bottiglia dei lieviti e di altre impurità), il rimpinguamento del vino perso con un liquer de dosage e la messa in bottiglia del tappo, della gabbietta di alluminio e dell'etichetta.


Alla fine della visita si passa prima davanti ad un modellino della nuova tenuta acquistata dal gruppo Lunelli, la tenuta Castelbuono, detta il carapace e completamente disegnata da Arnaldo Pomodoro per poi finire con una degustazione di un Ferrari a scelta della Casa, noi abbiamo assaggiato un Riserva Lunelli, veramente ottimo.
Terminata la visita siamo piuttosto contente, la guida è stata esauriente, disponibile e molto corretta (non si ricordava della nostra prenotazione e per questo non ci ha fatto pagare, chapeau), abbiamo risolto enigmi insoluti da sempre (l'acqua Surgiva che acqua è? Perchè non si trova nella grande distribuzione? Risposta: è del gruppo Lunelli che la distribuisce solo alla filiera Ho.Re.Ca ed è, tra l'altro, l'acqua ufficiale dell'AIS) e ci siamo degustate un ottimo vino su una bella poltroncina che avrebbe adorato il protagonista di Grease:-) 


Altro giro, altro regalo, questa volta tocca spingersi a Vigo di Ton, paesino non esattamente a portata di mano, dove nasce il Miele Thun ed il suo geniale ideatore Andrea Paternoster, colui che ha portato alla ribalta il miele monofloreale e che riesce ad ottenere mieli più o meno da qualsiasi vegetale presente su questa terra (per dire noi abbiamo assaggiato quello di carota selvatica e quello di cardo).
Ad accoglierci non c'è lui ma un suo collaboratore a cui non basteranno tre ore per raccontarci tutto quello che producono e che hanno in mente per gli anni a venire. L'ultimo progetto in casa Thun è quello di una valorizzazione dell'aceto tramite l'associazione Amici Acidi, unione di 5 produttori che considerano l'aceto non un prodotto secondario del mondo enologico ma bensì un potenziale protagonista assoluto della cucina.
Noi assaggiamo l'aceto di miele al rosmarino ed è subito amore, poco acido molto fresco e piacevolmente aromatizzato, ed è così che Andrea ci spiega deve essere l'aceto, deve dare soprattutto freschezza e non acidità.
Un giro nella produzione (piccola ovviamente, il miele devi giusto imbottigliarlo o al massimo tenerlo nel miscelatore per ottenere una cristallizzazione migliore) e poi via alla degustazione.
Proviamo una decina di qualità diverse di miele, tutte ottime ed alcune dai profumi un tantino troppo intensi, come il miele di Tarassaco che ricorda il Puzzone di Moena, e scegliamo di prendere quello di Erica, delicatamente profumato e il Millefiori degli alveari presenti a Casadonna, la tenuta di Niko Romito, il millefiori più vellutato che abbia mai provato.
Nel frattempo, tra una leccatina e l'altra al cucchiaino sgocciolante di questo nettare, capiamo perchè questi mieli sono diventati così famosi: Andrea Paternoster per creare questi monovarietali particolarissimi, sposta le sue arnie in ogni parte d'Italia, dall'Isola di Sant'Erasmo di fronte a Venezia, fino alla Sicilia, passando dal Molise e Calabria. Colloca le arnie nei luoghi dove sono più presenti le specie vegetali che gli interessano e poi le lascia il tempo che esse producano il miele, prodotto quello le porta da un'altra parte, in un continuo Italian bee-tour.
Sono le 19, il tempo stringe, Andriano è lontana e dobbiamo ancora trovare il proto-castello e prepararci per la lunga giornata seguente, da passare tutta sulla strada del Vino in Alto Adige ripetendo ansiosamente quelle poche parole di tedesco, che non sappiamo ancora che ci serviranno un bel po' nei prossimi mesi.


domenica 7 ottobre 2012

Ricordi d'estate#2


I ricordi tendono a sbiadire col tempo e più la nebbiolina langarola scende a ricoprire gli acini più i 39°C di quel giorno a Portonovo perdono di nitidezza.
Ogni anno mi trovo sempre a rifare le stesse riflessioni in autunno che più o meno si concludono con una generale incredulità verso i cambiamenti di temperatura che avvengono in Italia nell'arco di pochi giorni. Inutile dirlo a Londra questa incredulità mi prendeva molto raramente: la differenza tra le temperature di aprile, luglio e settembre è molto sfumata. 
Il giorno in cui abbiamo conosciuto Moreno Cedroni per la mia tesina sul rapporto tra ristorante e paesaggio, la temperatura era al di fuori della normale sopportazione, 39°C con l'80% di tasso di umidità, uno dei migliori modi per capire la provenienza della metafora "l'aria si tagliava con un coltello" (avete presente la condensa dopo che avete fatto la doccia? ecco la sensazione era quella:-)


Il Clandestino di Moreno Cedroni è un locale stranissimo per essere di uno chef stellato, è incredibilmente mimetizzato nel paesaggio, non urla da nessuna parte la sua specialità rispetto agli altri baracchini presenti sulle spiagge, semplicemente si lascia scoprire, magari prendendo anche solo un Magnum al bancone del bar (e non intendo un piatto rielaborato alla Bottura intendo proprio il Magnum Algida di trash-food memoria).
Il locale è interamente di legno e Cedroni ci spiega che lui, a parte un piccolo ritocco alla veranda, non l'ha toccato ma che anzi l'ha volutamente lasciato come l'ha trovato, perchè così "poteva rimanere quel localino abbordabile ai bagnanti che era sempre stato, non aveva proprio senso trasformarlo in un qualcosa di chiccoso ".
Non un ragionamento da tutti, inserendo un po' di psicologia nel discorso si potrebbe aggiungere che è un rischio che si corre solo se si è molto sicuri di chi si è, del proprio lavoro e non si deve più dimostrare (quasi) nulla a nessuno.


Il menù varia a seconda del momento della giornata, al mattino si comincia con la colazione pied dans l'eau, il pranzo si risolve con un susci da nome favoloso (Pollicino, Il brutto anattrocolo...), la merenda con uno dei dolcetti presenti e la sera il Clandestino cambia faccia proponendo prima aperitivi e poi susci diversi, meno giocosi più eleganti.
E' così che questo luogo "cambia a seconda della clientela che ospita e non cambia lui la clientela che frequenta la spiaggia" ci dice Cedroni. L'umiltà è sempre emozionante, l'intelligenza disarmante e così il ritorno alla macchina per proseguire verso casa è pieno di riflessioni su questo chef dalla faccia simpatica e schietta.


L'ultima tappa della nostra estate è stata Eataly a Roma, il gigante aperto da qualche mese che ci richiamava come mosche al miele.


Il primo impatto è, come dire, "bruciante" visti i 41°C di Roma ed il parcheggio tutto al sole che circonda questo grande stabile dall'architettura di acciaio e vetro dal sapore "internazionale". Eataly è grandissimo, più di quanto pensavamo e dopo qualche momento è veramente difficile non perdere il senso dell'orientamento e dello spazio in quello che è sicuramente una piccola Disneyland dei foodies. 


Dopo qualche ora, devo essere sincera, abbiamo cominciato a tentennare, pranzo al ristorantino del fritto (ottimo niente da dire, soprattutto considerando i numeri che fa), giro attento al reparto formaggi, salumi e pesce, fino all'ultimo piano quello del ristorante Italia e della sala conferenze.
Dopo aver visionato tutto, condiviso impressioni e riflessioni, mi sento di fare qualche timida critica:
  • Piemonte, Piemonte, Piemonte. Ed ancora Piemonte se fosse possibile. Ovvio, non ho niente contro la mia regione, ma se trovare tanto Piemonte a Torino mi pare doveroso, trovare la stessa origine nelle migliaia di referenze presenti a Roma mi lascia un po' di amaro in bocca: yogurt, formaggi, carne, dolci. Ma in tutto il Lazio non fanno un buon yogurt che bisogna portarlo dalla Val di Susa? E La Granda è fantastica, ma non ci sono altri allevatori che applicano gli stessi criteri in tutto il Centro-Sud Italia? Con questo non dico che non ci fossero prodotti provenienti da altre regioni ma la supremazia del Piemonte era, a mio gusto, assolutamente esagerata.
  • Reparto vino: il vino ai piani alti secondo me non ci sta. Quanto è bello a Torino scendere nei sotterranei e scegliersi la propria bottiglia (perchè in fondo in tutti noi è assodato che il vino sta in basso, in cantina, no?) quanto a Roma sceglierlo con vista sulla città non mi è piaciuto troppo. 
  • Il gelato non è assolutamente all'altezza del luogo. Io ho provato con titubanza per una cattiva esperienza precedente il gelato di Venchi e se allora non mi aveva entusiasmato sono pronta a riconfermare la vecchia sensazione. Sapore annacquato, sensazione di poca artigianalità. A Roma di gelaterie che meritavano quello spazio, secondo me, ce ne erano ben di migliori.  
  • Si avvertiva, ma forse era normale vista la poca quantità di tempo passata dall'apertura, una certa disorganizzazione generale, una sorta di caos in cui si muoveva l'intera macchina farinettiana. Per tutta la durata della nostra visita abbiamo visto baristi con l'aria molto poco convinta e dipendenti che davano l'impressione di cercare anche loro il bandolo della matassa. Ma in questo caso concediamo tutte le attenuanti e siamo pronte a ricrederci in una prossima visita:-)

Nota, invece, di merito per alcune installazioni artistiche: la spirale di tazzine di caffè che sovrastava il bar Illy è veramente bella e ha raccolto un certo numero di entusiaste teste all'insù. Niente male veramente.
Il ricordo quasi sbiadito è stato salvato, ora tocca alle atmosfere alto atesine prendere il posto di spiagge e parcheggi roventi e al Salone del Gusto poi.
Tempo al tempo:-)
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